È una calda mattina del 22 agosto 1911 quando un copista francese si reca presso il museo più famoso del mondo, per studiare da vicino il quadro più famoso del mondo. Negli ultimi quattro secoli quel quadro aveva viaggiato a lungo, prima di trovare la sua nuova casa: dalla Firenze culla del Rinascimento, alle stanze dei Re di Francia, alla camera da letto di Napoleone, fino al più importante museo di Parigi. Ma la mattina del 22 agosto del 1911, del quadro più famoso del mondo non c’è traccia. A parte la cornice...
Solamente un anno prima, in seguito ad alcuni atti di vandalismo il museo aveva deciso di proteggere le opere con dei vetri. Il lavoro era stato appaltato a un imprenditore vetraio parigino, Monsieur Gobier. Tra i suoi operai c’era anche un esile imbianchino italiano, di nome Vincenzo Peruggia.
Vincenzo Peruggia non era un uomo che si notava facilmente. Riformato dall’esercito italiano a causa della gracile costituzione, come tanti italiani dell’epoca era emigrato in Francia, dove si barcamenava come imbianchino e decoratore. Tra i suoi tanti datori di lavoro, anche Monsieur Gobier. Tra i suoi tanti compiti, anche occuparsi delle cornici del Louvre.
E proprio in un ufficiolo del Louvre, cinque mesi prima della sparizione della Gioconda, sfogliando un libro preso a caso da uno scaffale, Vincenzo si era imbattuto in un’illustrazione satirica. Mostrava una fila di carri carichi di quadri trafugati da Napoleone dall’Italia e portati al Louvre. L’uomo si era sentito ardere dalle fiamme patriottiche - la prima guerra mondiale era alle porte, e l’incendio del nazionalismo da lì a poco avrebbe travolto l’Europa. “Se potessi riportarne almeno uno in Italia...”, aveva pensato Peruggia. E quale, se non il quadro più famoso del mondo? Il quadro in realtà non era stato rubato da Napoleone, ma consegnato personalmente da Leonardo da Vinci al re di Francia Francesco I nel 1516. Ma questo Vincenzo non poteva saperlo: come spesso accadeva a quei tempi, la sua istruzione si era fermata alla terza elementare.
Vincenzo Peruggia, lo abbiamo detto, non è un uomo che si nota facilmente: e infatti nessuno si accorge di lui, la mattina del 21 agosto 1911, quando entra da una porta di servizio del Louvre. Indossa il camice bianco degli impiegati del museo, e il lunedì è il giorno di chiusura. Attraversa i corridoi deserti fino al salon Carrè, osservato solo dagli occhi enigmatici appartenuti a una bellissima donna vissuta quattrocento anni prima. Stacca il quadro dalla parete, svita la cornice, e coprendolo con la giacca, esce in mezzo alla folla con sottobraccio la Gioconda di Leonardo da Vinci.
Per due anni, il quadro più famoso del mondo rimane in un ripostiglio adibito a legnaia contiguo alla povera stanza di un imbianchino. Ci mette due anni, Peruggia, a decidersi a riportare Monna Lisa alla sua città natale. Il 10 dicembre 1913 si registra nella stanza n°20 di un albergo di Firenze, al numero due di via Panzani, dove incontra un antiquario per proporgli per la somma di 500.000 lire la vendita della Gioconda. Con una richiesta: che questa rimanga per sempre a Firenze, nel museo degli Uffizi. L’antiquario avvisa i carabinieri, e Peruggia viene arrestato e portato al carcere delle Murate.
Il sogno di Vincenzo viene in un certo senso esaudito: prima di venir rispedita in Francia la Gioconda viene brevemente esposta agli Uffizi, e nella mattina del 14 dicembre 1913 almeno 30.000 fiorentini si mettono in coda per ammirarla. Peruggia viene condannato a un anno di prigione, ma il “ladro del secolo” ha conquistato il cuore degli italiani, e viene scarcerato dopo soli sette mesi. Rientrerà da eroe al suo paesino natale, si sposerà, tornerà sotto falso nome a Parigi. Dove morirà per un malore improvviso, tra le braccia della piccola figlia Celestina, festeggiando il suo quarantaquattresimo compleanno.
... Monna Lisa, conosciuta come la Gioconda, per gli ultimi cinque secoli ha vissuto lontano dalla città dove il suo creatore, Leonardo da Vinci, gli infuse il dono della vita immortale. Tranne che per quei pochi, freddi giorni d’inverno del 1913, dove poté respirare nuovamente l’aria della sua Firenze, dalla finestra della camera n° 20 di un albergo a due passi dal Duomo.
Quell’albergo si chiamava Albergo Tripoli. Un secolo dopo è stato completamente restaurato da una famiglia di architetti amanti della storia dell’arte, e oggi la storia incredibile della Gioconda rivive all’Hotel The Frame.